Berengario

berengario verona

La fontana di Madonna Verona in piazza Erbe, un monumento simbolico che rappresenta le età della città. Il basamento è costituito da una vasca termale di epoca romana su cui si innesta uno stelo con le effigi dei re, storici o mitici, che fecero della città capitale del prorio regno: la regina Verona, Vero, Alboino e Berengario.

 

Alla morte di Carlo Magno nell'814, l'Europa e soprattutto l'Italia ripiombarono nella caos delle lotte per il potere, forse ancora più aspre di prima. Il sistema feudale che, finché vi era stato un sovrano forte e autoritario, aveva garantito la stabilità del governo franco, venendo a mancare la guida esplose in una serie infinita di lotte fratricide per il controllo del territorio, cui parteciparono anche molti ecclesistici, vescovi che esercitavano il proprio potere non meno di quanto non facessero i vari marchesi, conti, imperatori e anti-imperatori.
La rapida successione di re franchi che succedettero a Carlo Magno, lasciò indebolita l'istituzione monarchica e impoverita la popolazione che si trovava come sempre a subire le lotte per il potere che si combattevano in mezza Europa. Luigi il Pio, Lotario, Pipino, Carlo il Calvo, Luigi il Germanico, Luigi il Balbuziente, Carlomanno, Carlo il Grosso furono i pretendenti al trono che si susseguirono in rapida successione fino all'888. Con la misera morte di Carlo il Grosso, anch'egli uno dei tanti re d'Italia, la dinastia dei Carolingi finiva.

 

Berengario e Verona capitale

 

In questo caos di guerre fratricide, intrighi, tradimenti, vendette, re e imperatori che cadevano, risorgevano, venivano deposti, si era persa l'Europa intera. Non fece eccezione il cosiddetto Regno d'Italia, territorio che comprendeva Liguria, Lombardia, Emila, parte del Veneto e della Toscana. Con la morte di Carlo il Grosso, i vari conti, marchesi e duchi, in parte franchi in parte longobardi, che governavano o spadroneggiavano nei territori in cui il regno era polverizzato, incominciarono ad aspirare alla corona d'Italia, rimasta senza il suo titolare imperiale.
Tra questi contendenti emersero due figure che riuscirono, con alterne vicende, ad imporsi sugli altri: Guido duca di Spoleto e Berengario Marchese del Friuli. Quest'ultimo di particolare rilievo nella nostra storia in quanto egli fece di Verona la capitale del Regno d'Italia. Ciò sarebbe valso anche a lui, così come era successo ad Alboino, la raffigurazione nella fontana di Madonna Verona assieme ai re, mitici o storici, della città.
Berengario in virtù della parentela con Luigi il Pio (la madre di Berengario era figlia del re francese), vantava il suo diritto di successione al trono d'Italia. Nell'888, convocata una dieta di duchi e vescovi nell'allora capitale Pavia, riuscì a farsi incoronare successore al titolo di re d'Italia rimasto vacante alla morte di Carlo il Grosso. Guido da Spoleto, che vantava anch'egli parentela carolingia, non si rassegnò a vedersi sottrarre la corona. Convocata un'assemblea di vescovi si fece anch'egli eleggere re d'Italia e mosse guerra a Berengario che pur sconfitto non rinuciò a trono e titolo.
Berengario pose Verona, sede del marchesato, capitale del regno, e la lontananza da Spoleto, dove risiedeva invece Guido, permisero la paradossale convivenza di due re.
Nel frattempo, sull''Italia nord-orientale premevano gli Ungari, feroce popolazione discendente degli Unni di Attila, che vivevano di scorribande nei territori confinanti. Berengario cercò di arginare la loro devastante avanzata ma venne sconfitto presso il Brenta nell'agosto dell'899. Il Veneto e la pianura Padana subirono le tremende razzie dei barbari. Verona non fece eccezione e anche se la città, protetta dalle solide mura, poté resistere senza subire gravi danni, gli insediamenti, i monasteri, le chiese che si trovavano fuori le mura furono saccheggiate e devastate. San Zeno in particolare che era ormai una ricca abbazia, ne subì gravi conseguenze. Berengario aveva dimostrato di non essere in grado di proteggere i territori dei quali aveva preso la corona. Venne quindi deposto da una dieta che affidò il regno d'Italia a Ludovico di Provenza, anche lui discendente di Carlo Magno. Berengario sconfitto e deposto trovò riparo in Baviera da dove, non rassegnato al rovescio, ordì la trama per il suo ritorno sulla scena. Nel 902 e 905 Berengario, messo insieme un esercito che comprendeva numerosi feroci mercenari magiari, ridiscese in Italia imponendo due pesanti sconfitte a Ludovico. Questi si era asserragliato a Verona. Con la complicità di alcuni ecclesiastici, Berengario assieme a un manipolo di uomini riuscì a penentrare in città e a soprprendere Ludovico nella fortezza sul colle che era stata di Teodorico. Ludovico si nascose quindi nella vicina chiesa di San Pietro ma catturato da Berengario venne crudelmente accecato e rispedito in Provenza. Berengario era di nuovo re d'Italia. Nel 915, in cambio dell'aiuto reso a papa Giovanni X nello sconfiggere un avamposto musulmano insediatosi sul Garigliano e che sembrava poter minacciare Roma stessa, venne incoronato Imperatore.
La pace tuttavia non durò molto. Nel 922, una nuova congiura di vassalli portò in Italia come nuovo pretendente al trono Rodolfo di Borgogna. Rodolfo sconfisse Berengario che, scampato fortunosamente egli stesso alla morte sul campo, si asserragliò a Verona per riorganizzare la controffesiva. Messo insieme il solito esercito di sanguinari mercenari attaccò Pavia dove il cognato di Rodolfo, Ugo di Provenza reggeva nell'assenza del re. Rotto l'assedio, Berengario lasciò Pavia alle razzie dei magiari che costituivano il grosso del suo esercito e che trucidarono indistintamente buona parte della popolazione civile. L'evento suscitò lo sdegno degli altri feudatari che ordirono un complotto contro il re. Berengario fu assassinato a tradimento a Verona nell'aprile del 924 per mano del servitore Flamberto. Flamberto verrà di lì a poco ucciso da Milone, fedele del re, conte che darà poi vita alla dinastia dei Sambonifacio e che avrebbe avuto un importante ruolo negli scontri tra guelfi e ghibellini che di lì a un paio di secoli.

 

Per quanto riguarda l'edilizia, nell'895 Berengario emise un decreto in cui concedeva l'utilizzo del materiale lapideo dell'Arena e del Teatro Romano per gli edifici privati. Già dal 400 d.C. l'Arena non era più stata utilizzata per spettacoli gladiatorii. Vi venivano di tanto in tanto effettuati tornei di cavalleria, pubbliche esecuzioni e giudizi, ma la decadenza era stata graduale e inesorabile. Con il decreto di Berengario l'accelerazione del declino fu notevole anche se non impedì all'Arena e in parte anche al Teatro Romano, di giungere ai giorni nostri. Tuttora in molti edifici medievali si possono ritrovare i blocchi nel tipico marmo di Verona provenienti dall'Arena.
Nel 905, una piena dell'Adige causò il crollo definitivo del vecchio Ponte Postumio di epoca romana, decretandone la definitiva inutilizzabilità tanto che da allora venne definito "pons fractus", ponte rotto.
Le terribili devastazione degli Ungheri dovettero lasciare in misero stato le chiese e proprietà che si trovavano ancora fuori dalle mura, come ad esempio San Zeno. I tesori dell'Abbazia tra cui le reliquie del santo vennero portati all'interno della cinta muraria, nella Cattedrale, e solo nel 921 poterono ritornare nella loro collocazione originaria.
Alcuni studi eseguiti nel 2009, hanno fatto rivedere alcune datazioni relative alla chiesa di San Zeno legandola ancora di più alla figura di Berengario. Si tratta di alcuni graffiti rinvenuti nell'absidiola di sinistra all'interno della quale è oggi collocata la colossale statua del San Zen' che ride. Tra le varie scritte, incise nell'intonaco del muro, ve ne è una che fa riferimento esplicito alla morte del re.

 

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