Mastino II e Cangrande II

mastino II della scala

Castelvecchio. L'inquietante statua equestre di Mastino II proveniente dalla sua arca. Il signore scaligero volle essere ricordato come un temibile guerriero cinocefalo.

 

Cangrande morì il 22 luglio del 1329. Si apriva quinti il problema della successione al governo di Verona.
Cangrande non aveva figli maschi legittimi che potessero ereditarne il potere che passò quindi ai figli del fratello Alboino già defunto nel 1311: Alberto e Mastino che col nome di Alberto II e Mastino II assunsero assieme il potere come signori di Verona. Il loro era un impegno non facile. Dovevno amministrare un territorio che grazie all'abilità politica e militare dell'illustre zio si era ingrandito molto ma non era ancora consolidato. Grazie al matrimonio di Mastino II con Taddea da Carrara si era aggiunta Padova ai territori controllati da Verona e dando in sposa a Bernabò Visconti la figlia Beatrice (ragione per cui oggi a Milano vi è un teatro alla Scala) cercò di assicurare la tranquillità dei confini occidentali. Anche Treviso, Feltre, Belluno e in sostanza l'intera Marca Veneta rientravano nei possedimenti veronesi, un territorio ampio e non disposto a farsi docilmente dominare dal potere scaligero.
Alberto II, più incline ai piaceri della vita di corte che alla politica, fu ben lieto di delegare a Mastino II l'onere del governo.
Mastino II, più audace e ambizioso che non abile, più che cercare di consolidare le conquiste di Cangrande, preferì continuarne la politica espansionistica, pensando così di espandersi verso la Lombardia, l'Emilia e la Toscana.
Mastino prese il comando della lega ghibellina contro Giovanni di Boemia che, sceso in Italia, si era schierato con i guelfi. Oltre ai della Scala vi aderirono gli Estensi di Ferrara, i Gonzaga di Mantova e i Visconti di Milano.
Mastino, alla testa della lega, riusci a impadronirsi di Brescia, Parma, Reggio, arrivando addirittura fino a Lucca e sperando di riuscire da lì a giungere fino a Pisa. Avrebbe così dotato il territorio scaligero di uno sbocco al mare che rendesse Verona libera dal controllo economico e commerciale della vicina ma sempre più ostile Venezia. Così facendo però Mastino andava a rompere una serie di delicati equilibri in uno scacchiere estremamente complesso. Firenze infatti aveva mire sia su Lucca che su Pisa, che considerava nella sua naturale sfera di influenza.
Anche Venezia covava risentimento verso gli Scaligeri per la conquista di Treviso e Mestre, considerate naturali appendici della laguna. Altro motivo di rivalsa era la catena posta sul Po presso Ostiglia a controllo del traffico veneziano lungo il fiume. Infine, ancora più bruciante per i veneziani era stata la costruzione del castello delle Saline, nei pressi di Chioggia, per produrre e commerciare il sale, fino ad allora lucroso monopolio della Serenissima.
La spregiudicata e prorompente espansione del dominio territoriale scaligero provocò aspre reazioni. Venezia si alleò quindi con Firenze e nell'arco di un mese le forze alleate occupavano le campagne trevigiane e Chioggia, saccheggiando e devastando i nuovi territori scaligeri.
Mastino II, cui mancavano la visione strategica e le capacità politiche dell'illustre zio temporeggiò lasciando che le forze alleate erodessero importanti pezzi di territorio scaligero e facendo risvegliare sentimenti anti veronesi in molte città recentemente conquistate. Lo abbandonarono anche molti dei vecchi alleati della Lega che preferivano tenere un atteggiamento neutrale in attesa degli eventi. Padova venne messa sotto assedio e nel 1337 le porte della città vennero aperte all'esercito veneziano-fiorentino. Lo stesso Alberto II cadde prigioniero e trasferito a Venezia.
Era il 3 agosto, e iniziava la lenta e inesorabile decadenza di quella che era apparsa tra le più fulgide, ambiziose e promettenti tra le signorie italiane.
I Visconti, approfittando delle difficoltà scaligere sul fronte orientale si impadronirono di Brescia.
Mastino II, rimasto solo e con le difficoltà economiche dovute al prolungarsi della guerra cercò la resa rinunciando a Treviso, Padova, Monselice e Bassano in favore di Venezia, a Lucca in favore di Firenze. Gli alleati, non soddisfatti proseguirono l'avanzata arrivando fino a Soave giungendo così alle porte di Verona.
Il sistema difensivo di Verona, come aveva già fatto più volte in passato e come avrebbe continuato a dimostrare in futuro, si dimostrò inespugnabile.
Mastino II, sentendosi però accerchiato e vedendo nemici e traditori ovunque, arrivò a uccidere davanti al Duomo, con le sue stesse mani, il vescovo di Verona, Bartolomeo della Scala, sospettandolo di connivenza con il governo veneziano. Il delitto gli causò la scomunica.
Nell'arco di tre soli anni, la potente e vasta signoria scaligera era ormai ridimensionata territorialmente e politicamente. Venezia decise di non darle ancora il colpo di grazia per frapporre un cuscinetto fra se' e i domini viscontei. Nel 1339 venne così firmata la pace nella Basilica di San Marco.
La pace fu pesante per Verona. Agli Scaligeri restavano solo Vicenza, Parma e Lucca. Quest'ultime di fatto solo simbolicamente, in quanto completamente separate territorialmente dal corpo centrale dello stato scaligero.
Mastino II, presa coscienza della disfatta, decise di arroccarsi a difesa e avviò la costruzione del Serraglio, il sistema di castelli e fiumi che da Valeggio a Villafranca, lungo il Tione fino a Nogarole Rocca garantiva la protezione del lato sud occidentale del territorio veronese.
A peggiorare ulteriormente le cose ci si misero una serie di terremoti, inondazioni e infine la peste del 1348 e 1350, la stessa raccontata nel Decamerone del Boccaccio, che misero a dura prova la popolazione e l'economica veronese.
Mastino, più abile come economista che come generale, memore forse delle origini borghesi e mercantili del suo casato, avviò una serie di riforme economiche che diedero un po' di respiro alla stantia economia cittadina: liberalizzò l'esercizio dei mestieri e favorì l'immigrazione in città dal contado.
Mastino II morì nel 1351 e venne sepolto nella seconda Arca monumentale eretta nel cimitero di famiglia nel cortile della chiesa di Santa Maria Antica. Un anno dopo moriva anche Alberto II.

 

Cangrande II

mastino II della scala

Madonna con bambino di Lorenzo Veneziana nella chiesa si Santa Anastasia. I santi presentano alla madonna Cangrande II e la moglie Elisabetta di Baviera.

 

Gli eredi di Mastino II furono i tre figli legittimi: Cangrande II, Paolo Alboino e Cansignorio. La signoria passò di diritto al primogenito Cangrande II. Il nuovo signore di Verona, a causa del suo modo di esercitare il potere venne ben presto soprannominato Canis Rabidus, can rabbioso. Incominciava a venir meno anche quell'appoggio da parte della cittadinanza veronese di cui avevano fino ad allora goduto i della Scala. Da questo momento, le storie degli scaligeri, con la loro decadenza e vacua sete di potere, le loro lotte fratricide, vennero sempre più ad assomigliare alle vicende di una tragedia shakespearina.
Cangrande II cercò di consolidare quel poco che restava del potere e del prestigio scaligero attraverso un'avveduta politica di matrimoni. Egli sposò Elisabetta di Baviera mentre la sorella Altaluna maritò Ludovico marchese di Brandeburgo.
Nel 1354 Cangrande II, dovendo recarsi in Baviera per partecipare a una dieta imperiale, giunto nei pressi di Bolzano, venne raggiunto dalla notizia che il fratellastro Fregnano si era impadronito di Verona con l'aiuto dei Gonzaga.
Tornato in gran fretta a Verona e radunate le truppe, si scontrò con il Fregnano presso l'attuale ponte Navi. Il fratellastro, cercando di fuggire sull'Adige a bordo di una barca, travolto morì annegato.
I Visconti, che ormai avevano Verona nelle proprie mire espansionistiche, avevano nel frattempo inviato ottocento cavalieri, accampatisi a Bussolengo, alle porte della città, in attesa degli eventi.
In virtù delle alleanze matrimoniali, Ludovico di Brandeburgo aveva mandato in aiuto al cognato cinquecento cavalieri brandburghesi. Sempre più sospettoso e accerchiato, Cangrande II mantenne a Verona una guarnigione di cavalieri teutonici, alloggiati nel palazzo dell'Aquila, a fianco di Santa Anastasia. La loro cappella divenne però la chisa di San Giorgetto, a fianco di Santa Anastasia, dove ancora si possono ammirare gli affreschi che li raffigurano, con tutta l'armatura e gli stemmi araldici, in atteggiamenti devozionali.
Cangrande II, vedendo nemici sia dentro che fuori la città, si fece costruire un castello presso la chiesa di San Martino in Aquaro (oggi Castelvecchio), a cavallo delle antiche mura comunali, e vi si trasferì dal palazzo scaligero di piazza dei Signori.

 

L'epilogo della signoria di Cangrande II fu sanguinoso e tragico. La notte del 14 dicembre 1359, nei pressi della chiesa di Sant'Eufemia, il fratello Cansignorio, che ancora in seguito si sarebbe macchiato di fratricidio, con tre amici, gli tese un agguato mortale prendendone il potere.

 

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