Cansignorio

mastino II della scala

L'arca di Cansignorio della Scala. Realizzata dallo scultore lombardo Bonino da Campione, è il più sfarzoso e impressionante tra i mausolei scaligeri.

 

La signoria di Cansignorio della Scala fu tragicamente segnata da due fratricidi. Ha infatti inizio con l'assassinio di Cangrande II, cui fece seguito, alcuni anni dopo l'esecuzione dell'altro fratello Paolo Alboino, entrambi compiuti con efferata e fredda spietatezza. Nel 1365 la sete di potere portò infatti Cansignorio a rinchiudere il fratello Paolo Alboino nella fortezza di Peschiera con l'accusa di aver tramato per ucciderlo. Dopo lunghi anni di prigionia, Paolo Alboino venne condannato a morte e assassinato. Il fratello non sopportava l'idea di dividere il potere con nessuno.
Il territorio della signoria scaligera era ormai stato pesantemente ridimensionato e si limitava alla sola Verona e Vicenza, circondate da nuove potenze emergenti e in via di espansione, Venezia da un lato e i Visconti dall'altro. Bernabò Visconti aveva sposato la sorella di Cansignorio, Beatrice, soprannominata "Regina" per i modi aristocratici. Beatrice fece erigere la chiesa nei pressi della quale, nell'800 venne costruito il teatro lirico che nel prese il nome: La Scala di Milano.
La parentela con il Visconti era tuttavia difficile da gestire. Cansignorio cercò di giocare la carta dell'alleanza, sostenendo Bernabò nella crociata che nel 1362 papa Urbano V aveva portato avanti contro il crescente potere e mire espansionistiche di Milano.
La corte scaligera andava perdendo cavalieri e artisti che si allontanavano in cerca di tempi migliori, restavano i burocrati, giudici e notai, che si occupavano dell'amministrazione cittadina. La moneta perdeva progressivamente valore e la tassazione opprimeva la popolazione, già impoverita da pestilenze e carestie.
Della buona amministrazione scaligera non restava che un pallido ricordo. Gli ultimi della Scala furono più preoccupati della propria autocelebrazione e arricchimento personale che non delle sorti della città.

Il rinnovamento della città

Conscio di come i tempi fossero cambiati e dell'impossibilità di perseguire una politica in cui Verona potesse tornare ad essere protagonista, Cansignorio si circondò di splendore dandosi a uno stile di vita raffinato. Con la costrusione di monumenti e palazzi e un rinnovamento urbano, cercò di lasciare così memoria della propria signoria.
Nel 1363 sposò Agnese di Durazzo. Le celebrazioni furono uno degli avvenimenti mondani più sfarzosi nell'Italia del XIV secolo. Banchetti, musiche, canti, giostre e tornei, si susseguirono per quindici giorni consecutivi.
"Fabbricare è un dolce impoverire" pare amasse dire, anche se a impoverire era soprattutto la popolazione che contribuiva con una pesante tassazione alle aspirazioni edilizie di Cansignorio.
Nel 1364 Cansignorio completò la costruzione del Palazzo del Capitano in piazza dei signori.
Nel 1368 realizzò un acquedotto che dalle colline di Avesa portava l'acqua del torrente Lorì in città. Per celebrare questo intervento Cansignorio fece realizzare una fontana in piazza Erbe. La fontana ancora abbellisce il centro della piazza, sormontata dalla statua di Madonna Verona che da allora è considerato il simbolo e la personificazione stessa della città.
Nel 1370 la piazza delle Erbe fu abbellita anche da una torre, la torre del Gardello, sulla cui sommità venne realizzato un orologio a movimento meccanico, tra i più antichi d'Europa.
Nel 1373 Cansignorio ricostruì in pietra il Ponte Navi, con quattro archi e torri.
Anche nei territori circostanti Cansignorio si dedicò a rinnovamenti edilizi, con il restauro e l'ampliamento della cinta muraria dei castelli di Soave, Sirmione, Malcesine.
Verona divenne quindi città marmorina, secondo una definizione del Boccaccio nel Filocolo, celebre fin dall'antichità per i suoi monumenti in pietra che dovevano impressionare i visitatori che venivano dalle città limitrofe dove ancora si costruiva prevalentemente in legno.

 

Da sempre cagionevole di salute, Cansignorio morì a soli 35 anni nel 1375. Venne sepolto nell'arca realizzata per lui dallo scultore Bonino da Campione, la più grande e sfarzosa tra i mausolei dei predecessori.
In vita si macchiò di efferati delitti, contro i fratelli ma anche contro tutti coloro che si opposero al suo potere, torturandoli, imprigionandoli e spogliandoli dei loro beni. Il fine di tanti delitti fu il tentativo di assicurare la continuazione del potere ai suoi discendenti, i figli naturali poi legittimati Bartolomeo e Antonio. La gloriosa signoria della Scala aveva tuttavia gli anni contati.

 

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